Cos’è il demansionamento?

Parlando di diritto del lavoro, spesso, il primo pensiero di datori di lavoro, lavoratori e lavoratrici, va a temi in una certa misura “radicali”, come il licenziamento e le dimissioni per giusta causa. Situazioni che portano alla risoluzione del contratto di lavoro e che possono verificarsi in seguito a comportamenti gravi, dell’una o dall’altra parte. Esistono però anche altri casi previsti dalla legge, che hanno un impatto significativo sulla vita del lavoratore o della lavoratrice. Fra queste vi è sicuramente il demansionamento.

In questo articolo vediamo di cosa si tratta, quando è possibile ricorrervi, cosa accade al lavoratore o alla lavoratrice demansionata e quali conseguenze può avere il demansionamento.

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Demansionamento: cosa si intende?

Il demansionamento è l’attribuzione al lavoratore o alla lavoratrice di mansioni inferiori a quelle definite nel contratto di lavoro.

Al momento dell’assunzione, infatti, al lavoratore o alla lavoratrice viene attribuito un inquadramento contrattuale che prevede una serie di mansioni. Per esempio, se pensiamo a un impiegato amministrativo, tra le sue mansioni rientreranno la predisposizione delle fatture e l’aggiornamento dei dati inseriti nel software gestionale.

Ma nell’ambito dei suoi poteri direttivi, il datore di lavoro può decidere di attribuire al lavoratore o alla lavoratrice anche altre mansioni. Infatti, dovendo gestire e organizzare la sua azienda, la sua cooperativa, il suo studio o il suo ente, il datore di lavoro può decidere di riorganizzare le sue risorse – umane, materiali e immateriali – con una certa flessibilità ed entro certi limiti.

Può quindi modificare le mansioni definite dal contratto, temporaneamente o definitivamente, senza il consenso del lavoratore o della lavoratrice (modifica unilaterale), in virtù del principio dello ius variandi.

Un uomo lavora al computer in un ufficio, davanti a una finestra: è un consulente che lavora presso un cliente della sua azienda, secondo l'istituto del distacco del lavoratore.

“Ius variandi” e modifiche nelle mansioni del lavoratore o della lavoratrice

In base al principio dello ius variandi, la modifica nelle mansioni del dipendente può essere orizzontale o verticale.

Se la modifica è orizzontale, il lavoratore o la lavoratrice si occuperà di mansioni che rientrano nello stesso livello di inquadramento contrattuale previsto in fase di assunzione (nel nostro esempio, il datore di lavoro potrebbe chiedere al dipendente di formare un neoassunto del reparto amministrativo).

Se la modifica è verticale, il cambiamento può procedere:

  • verso l’alto, cioè il lavoratore dovrà occuparsi di mansioni che rientrano in un inquadramento superiore (nel nostro esempio, il dipendente potrebbe doversi occupare anche di coordinare l’attività degli altri colleghi e interfacciarsi col management di altri reparti)
  • verso il basso, cioè il lavoratore dovrà occuparsi di mansioni che rientrano in un inquadramento inferiore e in questo caso si parla di demansionamento

Quindi, se il datore di lavoro decide di attribuire alla persona mansioni inferiori rispetto a quanto previsto dal contratto di assunzione – per esempio, nel caso nel nostro impiegato amministrativo, fare le pulizie o le fotocopie per i colleghi – si configura l’ipotesi di demansionamento.

Trattandosi di una decisione che può impattare sulla dignità della persona e sulla sua capacità professionale, la legge prevede che il datore di lavoro possa ricorrere al demansionamento solo ed esclusivamente nei casi previsti dalla legge.

Tuttavia, è importante tenere presente che questa possibilità può essere percorsa anche per evitare che il lavoratore o la lavoratrice perda il posto di lavoro e quindi, di fatto, per tutelare il dipendente. Pensiamo alla situazione in cui la persona non è più in grado di svolgere le mansioni per cui era stata assunta. Affidarle altri compiti, mantenendo le condizioni economiche e previdenziali previste dal contratto, è un’opzione importante a cui è possibile ricorrere.

Chiarito questo aspetto, vediamo allora quali sono i limiti previsti dalla legge in caso di demansionamento.

Demansionamento legittimo: i casi previsti dalla legge

Il datore di lavoro può attribuire al lavoratore o alla lavoratrice mansioni inferiori previste dal contratto, solo nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge: l’art. 2103 del codice civile, poi modificato da uno dei decreti attuativi del cosiddetto Jobs Act e nelle altre ipotesi previste dalla legislazione speciale.

L’articolo 2103 c.c. stabilisce che il demansionamento è legittimo in 3 casi, e sempre con atto scritto:

  1. se vi è un cambiamento nell’organizzazione aziendale che coinvolge la posizione del lavoratore o della lavoratrice; nel nostro esempio, il datore di lavoro potrebbe voler esternalizzare il reparto amministrativo, quindi dovrà ricollocare il personale impiegato in amministrazione attribuendo ai dipendenti altre mansioni
  2. se c’è stata una modifica nel contratto collettivo di lavoro a cui fa riferimento il contratto stipulato tra azienda e dipendente (per esempio, nel caso in cui venga cancellata una certa figura professionale)
  3. se datore di lavoro e lavoratore si accordano stabilendo che vi sarà una modifica di mansioni per permettere al dipendente di mantenere il posto di lavoro, acquisire una professionalità diversa o migliorare le proprie condizioni di vita; e questo accordo deve avvenire nelle sedi protette, cioè nella apposita Commissione dell’Ispettorato territoriale del lavoro o comunque in presenza dei rappresentanti sindacali, eventualmente anche con la presenza di un avvocato, un consulente del lavoro o di un altro professionista

Se il dipendente non ha le competenze necessarie per svolgere mansioni inferiori, il datore di lavoro è obbligato e far sì che riceva adeguata formazione. Ma è importante sapere che, nel caso in cui il datore di lavoro non formi il dipendente e il lavoratore, dal canto suo, riceva una sanzione disciplinare per non aver adempiuto correttamente ai suoi doveri, la sanzione resta valida e non può essere considerata nulla per via della mancata formazione.

Oltre ai 3 casi previsti dall’articolo 2103, è possibile ricorrere al demansionamento secondo quanto previsto dalle leggi speciali:

  • nel caso di licenziamento collettivo, quando il demansionamento è definito da un accordo con i sindacati per riassorbire gli esuberi
  • nel caso delle lavoratrici madri, durante la gravidanza e fino a 7 mesi dal parto se l’attività svolta o le condizioni ambientali possono mettere in pericolo la salute della donna e del feto
  • nel caso di sopravvenuta inabilità allo svolgimento delle mansioni a causa di un infortunio o di una malattia del lavoratore
  • nel caso in cui sia necessario evitare che il lavoratore venga esposto a un agente fisico, chimico o biologico (per esempio, perché sviluppa un’allergia a un particolare materiale o prodotto)

Il demansionamento quando può essere considerato illegittimo?

Al di fuori dei casi appena visti, il demansionamento è considerato illegittimo e comporta l’obbligo di risarcire il danno alla professionalità. Quindi sono nulli sia la decisione del datore di lavoro di attribuire al lavoratore mansioni inferiori, sia un eventuale accordo tra datore di lavoro e lavoratore.

Il lavoratore ha il diritto di essere inquadrato nella categoria e nel livello di contrattazione collettiva che corrispondono alle mansioni che svolge concretamente o di riprendere le mansioni previste dal contratto per cui era stato assunto.

Ecco perché, prima di prendere qualsiasi decisione che possa portare a un cambiamento nelle mansioni del dipendente che comportino un demansionamento, è bene che il datore di lavoro si rivolga a un avvocato esperto di diritto del lavoro. Allo stesso modo, il lavoratore o la lavoratrice che ha subìto un demansionamento, dovrebbe rivolgersi a un legale per conoscere i suoi diritti e farli valere.

Avvocato del lavoro Sergio Palombarini, legale per aziende, lavoratori e lavoratrici

L’avvocato del lavoro Sergio Palombarini è un appassionato della materia da molti anni e insieme ai professionisti del suo Studio affianca aziende, cooperative, lavoratori e lavoratrici nelle controversie legate al diritto del lavoro: dimissioni, licenziamenti, sanzioni disciplinari, assunzioni, infortuni, malattia, permessi, trattamento di disoccupazione, insinuazione di crediti in procedure fallimentari, redazione dei contratti e tutte le questioni giuslavoristiche e di diritto sindacale che toccano organizzazioni e personale subordinato. Le sedi dello Studio sono a Bologna in Via Bovi Campeggi 4 e Padova in Via S. Camillo De Lellis 37.

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