Le dimissioni sono l’atto con cui la persona impiegata con un contratto di lavoro subordinato decide volontariamente di interrompere il rapporto di lavoro. L’unico obbligo a carico del lavoratore che rassegna le sue dimissioni è quello di dare il preavviso al datore di lavoro nei tempi previsti dai contratti di lavoro collettivi del settore di appartenenza. Esiste però un’eccezione: il preavviso non è dovuto in caso di grave inadempimento da parte del datore di lavoro, cioè in caso di dimissioni per giusta causa.
Come rassegnare le dimissioni?
A partire dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 151 del 2015 (uno dei decreti del Jobs Act) le dimissioni devono essere rassegnate per via telematica, tramite la procedura prevista nel sito www.lavoro.gov.it e trasmesse al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente, altrimenti non sono efficaci. Fanno eccezione:
- i rapporti di lavoro domestico
- le situazioni in cui il recesso avviene nelle sedi protette ex art. 26, comma 7, del d.lgs. n. 151
- le situazioni in cui il recesso avviene durante il periodo di prova di cui all’art. 2096 cod. Civ.
- in caso di dimissioni o risoluzioni del rapporto di lavoro rese durante il periodo di gravidanza o durante i primi tre anni di vita del bambino (che vanno convalidate presso la Direzione del lavoro competente)
- i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni
Dimissioni per giusta causa: chi può presentarle e per quali motivi?
Quando il datore di lavoro mette in atto un comportamento talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, neanche in via provvisoria, il lavoratore o la lavoratrice può rassegnare le dimissioni per “giusta causa” – senza preavviso – e ha diritto a percepire un’indennità pari all’importo della retribuzione che gli (o le) sarebbe spettata per il periodo di preavviso. Se il datore di lavoro si rifiuta di pagare l’indennità e sostiene che non esiste una giusta causa per le dimissioni, il lavoratore o la lavoratrice può citarlo in giudizio, con l’assistenza di un avvocato del lavoro, per chiedere che venga accertata la giusta causa e ottenere quindi l’indennità, oltre all’eventuale risarcimento degli ulteriori danni.
Motivi che possono giustificare le dimissioni senza preavviso
Secondo la giurisprudenza i motivi di grave inadempimento da parte del datore di lavoro sono i seguenti:
- il datore di lavoro non ha corrisposto la retribuzione e/o i versamenti contributivi per tre mesi
- mobbing, cioè il datore di lavoro ha messo in atto comportamenti vessatori e persecutori a danno del singolo lavoratore o lavoratrice
- molestie sessuali
- il datore di lavoro pretende che il dipendente esegua prestazioni illecite
- dequalificazione professionale
- il datore di lavoro ha deciso di trasferire la sede di lavoro del lavoratore o della lavoratrice senza che vi siano ragioni organizzative, tecniche o produttive
- il datore di lavoro modifica unilateralmente le condizioni fondamentali del rapporto di lavoro
- in caso di variazioni delle condizioni di lavoro in seguito alla cessione aziendale ad altra proprietà
In quali casi le dimissioni sono considerate illegittime?
Le dimissioni sono una scelta volontaria del lavoratore o della lavoratrice. Quindi sono illegittime: le dimissioni in bianco – cioè le dimissioni chieste all’atto dell’assunzione – quelle rassegnate a causa di minacce e raggiri e le dimissioni dovute ad un errore o all’incapacità di intendere e di volere. In tutti questi casi, le dimissioni sono annullabili ricorrendo all’autorità giudiziaria, previa impugnazione tempestiva.
Il lavoratore o la lavoratrice che rassegna le dimissioni ha diritto alla disoccupazione?
Sì ma solo se le dimissioni sono per giusta causa. Le legge prevede che le lavoratrici e i lavoratori dipendenti che hanno perso involontariamente il posto di lavoro possono chiedere la indennità di disoccupazione NASpI. L’Inps nella Circolare n. 97/2003 ha esteso questo diritto anche ai lavoratori e alle lavoratrici che si dimettono “per giusta causa”, in linea con l’orientamento della Corte Costituzionale (sentenza 269/2002).
Quindi, il lavoratore o la lavoratrice che ha rassegnato le dimissioni volontariamente per motivi non legati ad un comportamento grave del datore di lavoro, non ha diritto alla disoccupazione. Lo stesso vale se entrambe le parti – lavoratore e datore di lavoro – decidono di non proseguire il rapporto di lavoro risolvendolo consensualmente.