Distacco, trasferimento e trasferta del lavoratore: quali sono le differenze?

Nell’ambito lavorativo, termini come “distacco”, “trasferimento” e “trasferta” vengono spesso utilizzati per descrivere situazioni in cui un lavoratore cambia, temporaneamente o permanentemente, il luogo di lavoro. Un fenomeno frequente con la globalizzazione e l’espansione dei mercati esteri, spesso infatti le aziende devono poter trasferire o spostare personale lontano dalla sede aziendale, ma sempre nel rispetto delle normative vigenti.

Tuttavia, sebbene possano sembrare simili, questi concetti hanno significati e implicazioni legali distinti. Quali sono le differenze tra distacco, trasferimento e trasferta? Lo vediamo in questo articolo, esaminando le definizioni e le normative che regolano questi istituti.

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Trasferta del lavoratore

La trasferta riguarda il breve spostamento temporaneo del lavoratore in un luogo diverso da quello abituale di lavoro, per svolgere una specifica attività lavorativa. Ad esempio, un’azienda potrebbe richiedere a un dipendente di partecipare a un evento di settore in una città diversa. Il periodo di tempo è dunque limitato e deve esserci una previsione certa di rientro nella sede abituale. In genere, si parla di trasferta quando la prestazione lavorativa che il lavoratore esegue avviene al di fuori del Comune in cui ha sede l’azienda: questo istituto può dunque comportare viaggi all’interno del Paese, ma anche all’estero.

È bene specificare che, in caso di trasferta, non è richiesto il consenso da parte del lavoratore, proprio perché si tratta di una situazione temporanea. Infatti, la decisione di inviare un lavoratore in trasferta risponde a una necessità organizzativa del datore di lavoro e deriva da esigenze aziendali che non possono essere previste al momento dell’assunzione.

Durante la trasferta, il lavoratore ha diritto al rimborso delle spese sostenute, come vitto, alloggio e trasporto. Inoltre, il datore di lavoro può prevedere un’indennità aggiuntiva per compensare il tempo trascorso lontano dalla sede abituale e il disagio legato al viaggio.

Distacco del lavoratore

Differente invece è il distacco del lavoratore. Anche questo istituto, prevede che il dipendente venga temporaneamente assegnato a lavorare presso un’altra sede o filiale dell’azienda, oppure presso un cliente. I motivi possono essere diversi: l’azienda ha bisogno che il dipendente apprenda l’utilizzo di una nuova attrezzatura presente in un’altra sede oppure – caso frequente in ambito ICT – che svolga la sua mansione presso il cliente affinché questi apprenda, per esempio, l’uso di un software. A differenza della trasferta, il distacco può durare per un periodo più lungo e, in alcuni casi, può comportare un cambiamento delle mansioni lavorative (in questo caso, però, è necessario il consenso da parte del lavoratore distaccato).

Durante il distacco, il dipendente rimane formalmente sotto il controllo e la supervisione dell’azienda di origine (distaccante), ma opera temporaneamente presso un’altra sede (distaccataria).

Questo avviene senza che il rapporto di lavoro con l’azienda distaccante venga interrotto: durante il distacco, il datore di lavoro originale rimane responsabile del trattamento economico e normativo del lavoratore. È però fondamentale che il distacco sia giustificato da un reale interesse produttivo, organizzativo o di ricerca, soprattutto se l’azienda distaccataria dista oltre 50 km, e non deve comportare alcun pregiudizio per il lavoratore. Inoltre, è bene ricordare che il distacco non può costituire una soluzione definitiva.

Infografica: sulla sinistra illustrazione blu che rappresenta un edificio (il distaccante), sulla destra un altro edificio identico ma verde che rappresenta il distaccatario. Vicino a questo secondo edificio c'è il lavoratore distaccato: è l'illustrazione di un uomo colorato di blu.

Trasferimento del lavoratore

L’unico istituto che prevede un cambiamento definitivo della sede di lavoro è il trasferimento del lavoratore. Non si tratta, quindi, di una misura momentanea: è possibile trasferire dipendenti da un’unità produttiva all’altra a discrezione del datore di lavoro, purché la decisione sia motivata da “comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive”, secondo l’art. 2103 c.c.. Senza queste, infatti, il trasferimento è considerato nullo. Sono altrettanto legittimi i trasferimenti del dipendente dovuto a un accordo diretto tra datore di lavoro e lavoratore, definito come “trasferimento consensuale”, e quelli del lavoratore disposto a trasferirsi, sulla base della richiesta avanzata direttamente dal lavoratore stesso.

Se l’ordine datoriale di trasferimento viene emesso nel rispetto delle prescrizioni di legge e in buona fede, il lavoratore non può rifiutarlo: nelle ipotesi di rifiuto non supportato da valide ragioni, la condotta del dipendente può essere valutata come giustificato motivo soggettivo di licenziamento e di conseguenza tale da legittimare la chiusura definitiva del rapporto di lavoro.

Diventa però illegittimo il trasferimento operato senza comprovate ragioni o in violazione delle norme di salvaguardia del posto di lavoro, come ad esempio nel caso di:

  • disabili gravi
  • lavoratori che assistono persone con disabilità grave, e che godono dei permessi ex L. 104/92;
  • lavoratrici madri, fino al compimento dell’anno di età del bambino.

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Uomo con scatolone lascia l'ufficio

Le differenze tra distacco, trasferimento e trasferta

I tre istituti giuridici hanno in comune una variazione del luogo di lavoro ma presentano poi differenze sostanziali. Riassumendo, mentre la trasferta prevede uno spostamento temporaneo in un’unità produttiva diversa da quella abituale per svolgere specifiche attività e con un rimborso delle spese sostenute, in caso di distacco il lavoratore rimane alle dipendenze dell’azienda distaccante ma opera presso un’altra azienda, per un tempo sempre temporaneo ma più lungo della trasferta. Invece, il trasferimento prevede un trasferimento permanente della sede di lavoro all’interno della stessa azienda, e richiede una giustificazione tecnica, organizzativa o produttiva.

Comprendere queste differenze è fondamentale per garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori e la corretta applicazione delle normative vigenti da parte delle aziende.

Avvocato del lavoro Sergio Palombarini, legale per aziende, lavoratori e lavoratrici

L’avvocato del lavoro Sergio Palombarini è un appassionato della materia da molti anni e insieme ai professionisti del suo Studio affianca aziende, cooperative, lavoratori e lavoratrici nelle controversie legate al diritto del lavoro: dimissioni, licenziamenti, sanzioni disciplinari, assunzioni, infortuni, malattia, permessi, trattamento di disoccupazione, insinuazione di crediti in procedure fallimentari, redazione dei contratti e tutte le questioni giuslavoristiche e di diritto sindacale che toccano organizzazioni e personale subordinato. Le sedi dello Studio sono a Bologna in Via Bovi Campeggi 4 e Padova in Via S. Camillo De Lellis 37.

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