Licenziamenti e tutela reintegratoria attenuata: la sentenza della Corte di Cassazione

La reintegrazione è il più importante strumento di tutela del lavoratore illegittimamente licenziato. Disciplinata dall’art. 18 della legge 300/1970, meglio nota come “Statuto dei Lavoratori”, obbliga il datore di lavoro a riammettere il lavoratore nello stesso posto che occupava prima del licenziamento.

Fino al 2012 la tutela reintegratoria si applicava a tutti i licenziamenti illegittimi, a patto che il lavoratore fosse dipendente di un’azienda con più di 60 dipendenti, di un’unità produttiva con più di 15 lavoratori, o di un imprenditore agricolo con più di 5 lavoratori.

Dal 2012 (anno di introduzione della Legge Fornero) ad oggi, diverse volte il legislatore è intervenuto sul tema. Fino alla sentenza n. 11665 depositata dalla Corte di Cassazione lo scorso 22 aprile, che pare aver messo un punto sulla questione.

In questo articolo vediamo cosa prevede, ma prima una breve panoramica della reintegrazione e delle sue tipologie.

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Tutela reintegratoria: una panoramica

La tutela reintegratoria, può essere di tre tipi:

1 – Tutela reintegratoria piena

La tutela reintegratoria piena obbliga il datore di lavoro a reintegrare il lavoratore, a corrispondergli un risarcimento che copra il periodo intercorso tra il licenziamento e la reintegrazione, e a versargli i contributi relativi al medesimo periodo. Il risarcimento deve essere calcolato sulla base dell’ultima retribuzione, maturata dal giorno del licenziamento fino al giorno in cui il lavoratore torna a prestare la sua opera.

Tale tutela viene applicata quando il licenziamento è nullo (perché discriminatorio, o perché avvenuto in periodo di licenza matrimoniale, maternità o paternità o altre ipotesi di violazioni di leggi inderogabili), oppure quando inefficace in quanto comunicato verbalmente.

Il lavoratore, entro 30 giorni dalla comunicazione della sentenza, può decidere se accettare la reintegrazione o se chiedere in alternativa un’indennità pari a 15 mensilità.

2 – Tutela reintegratoria attenuata

La tutela reintegratoria attenuata prevede, in capo al datore di lavoro, l’obbligo di reintegrare il lavoratore, di corrispondergli un risarcimento e di versargli i contributi, per il risarcimento è però previsto un limite massimo di 24 mensilità retributive.

La tutela, così disciplinata, viene applicata in caso il licenziamento sia avvenuto per giusta causa, per giustificato motivo soggettivo, o per giustificato motivo oggettivo risultato illegittimo per l’insussistenza del fatto o (nel caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo) perché tale fatto rientra nelle casistiche in cui – secondo il CCNL – può essere applicata una sanzione conservativa.

3 – Tutela meramente obbligatoria

Se il caso in questione non rientra nella tutela piena né in quella attenuata, si può far appello alla tutela meramente obbligatoria se il giudice – dopo aver analizzato il caso – ritiene che il licenziamento non rientri nei casi particolarmente gravi che abbiamo descritto e che sono previsti dai commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori così come modificati dalla Legge Fornero.

Il lavoratore non viene reintegrato, il rapporto di lavoro viene risolto, ma ha diritto ad un risarcimento che può andare da 6 a -24 mensilità a seconda dell’anzianità lavorativa, delle dimensioni dell’azienda e di diverse altre variabili.

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Novità 2022: la sentenza della Cassazione e il ruolo dei CCNL

L’art. 18 Statuto dei Lavoratori prevede che il licenziamento disciplinare debba essere annullato se la condotta sanzionata rientra tra i comportamenti previsti dal Contratto collettivo di settore applicato come meno gravi, ossia sanzionabili ma non con il licenziamento (cosiddette sanzioni conservative)

Con la sentenza n. 12365 del 2019 e numerose altre sentenze, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione e parte della giurisprudenza avevano stabilito la possibilità per il giudice di applicare la tutela reintegratoria, solo qualora il comportamento del lavoratore fosse espressamente previsto tra le condotte che – secondo i CCNL e i codici disciplinari previsti da questi – soggette ad una sanzione conservativa.

I problemi sorgevano in tutti i casi in cui il comportamento del lavoratore non era considerabile come particolarmente grave sulla base delle clausole generali di comportamento previste dal CCNL, però tali comportamenti (ad es. fumare in azienda, parlare con termini offensivi, ecc) non fossero previsti in modo espresso tra quelli punibili con sanzioni conservative: in questi casi parte dei giudici concludevano che di conseguenza il licenziamento non poteva essere considerato illegittimo.

Ciò causava chiaramente delle situazioni di ingiustizia; a fronte di due lavoratori che compivano entrambi una azione di bassa gravità disciplinare, solo quello la cui azione era prevista dal CCNL come presupposto di una sanzione conservativa poteva essere reintegrato, mentre l’altro no.

Quindi, nel 2021, la sezione VI lavoro della Corte di Cassazione ha chiesto alle Sezioni unite della Corte che fosse fatta chiarezza sull’interpretazione da dare a questo aspetto della Legge Fornero e quindi dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Cass. 11.4.2022 n.11665, con una motivazione molto esauriente e ragionata, finalmente afferma che il giudice deve valutare la riconducibilità del fatto addebitato al lavoratore anche alle clausole di comportamento generali e elastiche previste dai CCNL, ai fini della reintegrazione, respingendo l’interpretazione secondo la quale la reintegrazione conseguirebbe solo a fronte della coincidenza del fatto con un’ipotesi tipizzata di sanzione conservativa.

Avvocato del lavoro Sergio Palombarini, legale per aziende, lavoratori e lavoratrici

L’avvocato del lavoro Sergio Palombarini è un appassionato della materia da molti anni e insieme ai professionisti del suo Studio affianca aziende, cooperative, lavoratori e lavoratrici nelle controversie legate al diritto del lavoro: dimissioni, licenziamenti, sanzioni disciplinari, assunzioni, infortuni, malattia, permessi, trattamento di disoccupazione, insinuazione di crediti in procedure fallimentari, redazione dei contratti e tutte le questioni giuslavoristiche e di diritto sindacale che toccano organizzazioni e personale subordinato. Le sedi dello Studio sono a Bologna in Via Bovi Campeggi 4 e Padova in Via S. Camillo De Lellis 37.

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