Mobbing sul luogo di lavoro: cos’è, come riconoscerlo e come affrontarlo
- 30 Dicembre 2020
- Posted by: Sergio Palombarini
- Categoria: Approfondimenti, News
Il mobbing consiste in un comportamento scorretto del datore di lavoro, o dei suoi dipendenti, attraverso una serie di atti di emarginazione e di lesione della dignità, allo scopo di perseguitare un dipendente in certi casi per spingerlo a presentare le dimissioni.
Sono esempi di mobbing i continui rimproveri in pubblico anche per questioni banali, la mancata assegnazione dei compiti lavorativi oppure l’esclusione costante del lavoratore rispetto ad iniziative formative e di aggiornamento professionale.
Cos’è il mobbing e quando si configura
Il fine principale di chi fa mobbing su un’altra persona è, normalmente, quello di spingerla a dare le dimissioni dall’azienda o a commettere azioni che ne giustifichino il licenziamento. Quest’ultimo caso viene definito più propriamente mobbing strategico, quando invece il mobbing è realizzato da un superiore è definito “bossing“.
In realtà, i responsabili dell’azione di mobbing possono essere diversi: infatti, anche se principalmente l’artefice della persecuzione è il datore di lavoro, spesso anche i colleghi si uniscono, supportando la strategia di isolamento e vessazione per il desiderio di compiacere il capo.
Tra i tanti studiosi che si sono occupati di mobbing da un punto di vista scientifico, Harald Ege, psicologo del lavoro esperto di mobbing, dopo anni di attività e ricerca sul campo ha individuato sette parametri che definiscono la situazione di mobbing:
Parametro 1 – Ambiente lavorativo: il mobbing deve svolgersi sul posto di lavoro.
Parametro 2 – Frequenza: le vessazioni devono verificarsi un certo numero di volte al mese e almeno una volta a settimana.
Parametro 3 – Durata: per parlare di mobbing la situazione vessatoria deve essere in corso da almeno sei mesi. Ci sono però casi di quick mobbing, della durata di tre mesi, che si traducono in azioni ostili di frequenza quotidiana e molto pesante.
Parametro 4 – Tipologia di azioni: si parla di mobbing se si verificano almeno due delle seguenti azioni:
- attacchi verbali attraverso critiche, minacce e rimproveri
- isolamento sistematico
- cambiamenti delle mansioni ordinarie con altre dequalificanti o umilianti
- attacchi alla reputazione con calunnie, offese, abusi
- violenza e/o minacce di violenza tra cui le molestie sessuali
Parametro 5 – Dislivello tra gli antagonisti: i protagonisti sono la vittima e l’aggressore (o mobber), dove la vittima è in una posizione costante di inferiorità.
Parametro 6 – Andamento secondo fasi successive: il modello Ege prevede delle fasi precise attraverso cui si sviluppa il mobbing e che parte una fase preparatoria (condizione zero) e prosegue per sei fasi successive:
- fase 1: conflitto mirato
- fase 2: inizio del mobbing;
- fase 3: primi sintomi psico-somatici;
- fase 4: errori ed abusi dell’Amministrazione del personale;
- fase 5: serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima;
- fase 6: esclusione dal mondo del lavoro.
Parametro 7 – Intento persecutorio: in ultimo deve esserci, da parte dell’aggressore, un evidente scopo negativo nei confronti della vittima.
Cosa deve fare il lavoratore che pensa di subire mobbing
Chi è vittima di mobbing può maturare nel corso del tempo delle vere e proprie patologie, che possono essere sia fisiche che psichiche, per le quali può chiedere e ottenere il risarcimento dei danni.
Nel momento in cui la persona può accertare di essere vittima di mobbing deve affrontare un percorso clinico in centri specializzati nelle patologie legate allo stress ed al mobbing e/o con figure professionali quali lo psicologo, lo psicoterapeuta, lo psichiatra. In caso di assenze per malattia è molto importante che la diagnosi del medico di base attesti che la patologia – depressione, ansia, attacchi di panico – sia riconducibile al contesto lavorativo.
Sul piano legale purtroppo non esiste un’organica definizione normativa di mobbing nel contesto italiano, ma è importante rivolgersi a un sindacato o a un avvocato giuslavorista specializzato in casi di mobbing. Il percorso clinico e quello legale devono essere affrontati contestualmente.
I danni di cui si può domandare il risarcimento sono di natura:
- patrimoniale: cioè i danni quantificabili direttamente in una somma di denaro, ad esempio le spese sostenute per le cure
- non patrimoniale: i danni consistenti nella lesione della salute (fisica o psichica) o di altri interessi considerati dalla Costituzione (diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, di professare la propria fede religiosa e così via).
Per prevenire l’aggravarsi dei danni e per evitare che con il passare del tempo le testimonianze perdano dettagli importanti, è consigliabile attivarsi tempestivamente, altrimenti il rischio è quello di compromettere la buona riuscita della causa.
Trattandosi di responsabilità contrattuale, legata alla violazione dell’art. 2087 c.c., l’azione risarcitoria si prescrive in dieci anni.
Cosa deve fare il datore di lavoro che è accusato di mobbing
Secondo l’art. 2087 c.c., “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
L’articolo mette in capo al datore di lavoro un obbligo che, nel momento in cui compie azione di mobbing, va a violare.
Se il datore di lavoro è accusato – ingiustamente o meno – di mobbing dovrà essere effettuato un adeguato accertamento circa le condotte di mobbing eventualmente poste in essere. Tuttavia non è semplice per il lavoratore provare che vi siano state condotte persecutorie da parte del datore di lavoro o dei colleghi, per mancanza di prove o perché spesso i comportamenti considerati mobbizzanti, presi singolarmente, possono essere legittimi.
Sono dunque necessarie le testimonianze e i documenti per ricostruire in modo attendibile la situazione e provare se ci sia stata o meno un’azione di mobbing.
Avvocato del lavoro Sergio Palombarini, legale per aziende, lavoratori e lavoratrici
L’avvocato del lavoro Sergio Palombarini è un appassionato della materia da molti anni e insieme ai professionisti del suo Studio affianca aziende, cooperative, lavoratori e lavoratrici nelle controversie legate al diritto del lavoro: dimissioni, licenziamenti, sanzioni disciplinari, assunzioni, infortuni, malattia, permessi, trattamento di disoccupazione, insinuazione di crediti in procedure fallimentari, redazione dei contratti e tutte le questioni giuslavoristiche e di diritto sindacale che toccano organizzazioni e personale subordinato. Le sedi dello Studio sono a Bologna in Via Bovi Campeggi 4 e Padova in Via S. Camillo De Lellis 37.