Quando può essere irrogato il licenziamento disciplinare?
- 23 Ottobre 2022
- Posted by: Sergio Palombarini
- Categoria: Approfondimenti
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Normato dalla legge 604/1966, il licenziamento disciplinare è una modalità di definizione del contratto di lavoro che comprende sia il licenziamento per giusta causa che il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Vediamo quali sono le differenze fra questi due tipi di licenziamento, quando vi si può ricorrere, la procedura per metterla in atto e come la legge tuteli il lavoratore in questi casi.
Licenziamento per giusta causa e licenziamento per giustificato motivo soggettivo: le differenze
Il licenziamento per giusta causa può essere predisposto dal datore di lavoro a seguito di un comportamento molto grave del lavoratore, non sanzionabile con alcun provvedimento diverso dal licenziamento. Tale comportamento può consistere in un inadempimento contrattuale, ma anche in comportamenti estranei alla sfera lavorativa tali da compromettere la fiducia del datore di lavoro. Necessariamente preceduto da un procedimento disciplinare, il licenziamento per giusta causa pone istantaneamente fine al rapporto di lavoro e si caratterizza per l’assenza di preavviso.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, invece, è un’ipotesi molto più rara, e si prefigura quando il lavoratore si rende responsabile di alcuni particolari inadempimenti contrattuali. A differenza del licenziamento per giusta causa, prevede però l’obbligo di preavviso.
Quando il datore di lavoro può ricorrere legittimamente al licenziamento disciplinare?
La maggior parte dei contratti collettivi indica espressamente quali inadempimenti del lavoratore possono motivare il licenziamento. Ma, secondo la giurisprudenza, è possibile ricorrere a questa sanzione anche per motivi non inclusi nel codice disciplinare. In più – ricorda la giurisprudenza – il giudice che dovrà verificare la legittimità del licenziamento dovrà valutare anche se esiste una giusta proporzione tra addebito e sanzione adottata.
Infatti, prendendo in esame sentenze passate, è possibile comprendere come i casi debbano essere considerati singolarmente. Ad esempio:
- l’assenza ingiustificata protratta nel tempo non basta perché il licenziamento disciplinare sia legittimo: il giudice deve tener conto anche delle giustificazioni addotte dal lavoratore;
- il lavoratore non può essere soggetto a licenziamento disciplinare se lavora per terzi durante la malattia, a meno che l’attività illegittimamente svolta non abbia rallentato il suo processo di guarigione;
- se durante la fruizione della cassa integrazione il lavoratore presta servizi presso terzi, non può essere licenziato, a meno che gli introiti non siano tali da pregiudicare il rapporto di fiducia col datore di lavoro;
- l’uso dell’auto e dei dispositivi aziendali per usi personali non è motivo di licenziamento, se tollerato dall’azienda.
In ogni caso, sia che il licenziamento avvenga per giusta causa sia che si tratti di un licenziamento per giustificato motivo soggettivo – come confermato anche dalla Corte di Cassazione a sezioni unite – ogni volta che il datore di lavoro, in seguito a un inadempimento del lavoratore, interviene con il licenziamento, si è di fronte a un licenziamento disciplinare, anche se, come abbiamo visto, il codice disciplinare dell’azienda non prevede questo tipo di sanzione.
Di conseguenza, tutte le volte che il datore di lavoro intende licenziare un proprio dipendente per un inadempimento, deve necessariamente ricorrere alla procedura prevista dall’art. 7 della Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), che si applica anche alle piccole imprese (imprese fino a 15 dipendenti).
Licenziamento disciplinare e articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori
La procedura di licenziamento ai sensi dell’articolo 7 relativo alle sanzioni disciplinari prevede una serie di passaggi:
1) il datore di lavoro deve per prima cosa contestare l’inadempimento al lavoratore;
2) invitare il lavoratore a presentare le proprie giustificazioni;
3) attendere 5 giorni dalla contestazione prima di adottare la sanzione.
L’articolo 7 infatti recita: “Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa. (…) In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.”
Se il datore di lavoro non segue questa procedura, il licenziamento è illegittimo.
Il lavoratore, dal canto suo, ha diritto a promuovere, entro i 20 successivi al provvedimento disciplinare, la costituzione di un collegio di conciliazione e arbitrato. Può agire anche col tramite dell’associazione sindacale a cui è iscritto.
Il collegio è composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o – se non si arriva a un accordo – nominato dal direttore dell’ufficio del lavoro.
Il licenziamento disciplinare resta sospeso fino alla pronuncia da parte del collegio.
Licenziamento disciplinare: come la legge tutela il lavoratore a tempo indeterminato
L’ordinamento italiano tutela il lavoratore dai licenziamenti disciplinari illegittimi, a seconda che il contratto a tempo indeterminato sia stato sottoscritto prima o dopo il 7 marzo 2015.
Se il contratto a tempo indeterminato è antecedente il 7 marzo 2015:
- il datore di lavoro può essere condannato a reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato (per l’insussistenza del fatto contestato o perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa), se l’unità produttiva ha più di 15 lavoratori (5 in caso di impresa agricola) o più di 60 dipendenti totali. Il lavoratore ha inoltre diritto ad essere indennizzato in misura non eccedente le 12 mensilità;
- se l’azienda ha dimensioni inferiori, il lavoratore ingiustamente licenziato ha diritto ad un indennizzo economico tra 2,5 e 6 mensilità;
- per datori di lavoro che impiegano più di 15 dipendenti, se il licenziamento disciplinare non ha rispettato la procedura prevista dall’art. 7 della legge 300/1970, è inefficace e soggetto alla tutela obbligatoria ridotta: il lavoratore ha dunque diritto ad un indennizzo pari a 6-12 mensilità, in base alla gravità del vizio.
Per approfondire, consigliamo la lettura dell’articolo Licenziamenti e tutela reintegratoria attenuata: la sentenza della Corte di Cassazione: una recente sentenza della Corte di Cassazione interviene proprio sul reintegro del lavoratore ingiustamente licenziato.
![Tutela Reintegratoria Attenuata Licenziamenti Cassazione Il giudice batte il martello per stabilire la sentenza](https://www.avvocatodellavorobologna.it/wp-content/uploads/2022/07/tutela-reintegratoria-attenuata-licenziamenti-cassazione-1024x683.jpg)
Se, invece, il contratto a tempo indeterminato è successivo al 7 marzo 2015, il datore di lavoro può essere condannato a reintegrare il lavoratore solo se in giudizio viene dimostrata l’insussistenza del fatto contestato.
In tale ipotesi dovrà anche versare i contributi previdenziali e assistenziali, e risarcire il lavoratore nella misura stabilita dal giudice. In caso di sanzione sovradimensionata rispetto al fatto contestato, non è dunque più previsto il reintegro: al lavoratore licenziato viene riconosciuta unicamente un’indennità compresa tra le 6 e le 36 mensilità (2-12 se il licenziamento è affetto da vizio procedurale).
Se l’azienda ha requisiti dimensionali inferiori a quanto richiesto dall’art. 18 della legge 300/1970 (inferiori a 15), il lavoratore ingiustamente licenziato non ha diritto al reintegro ma ad un indennizzo economico pari ad 1 mensilità per anno di servizio (ma le mensilità calcolate non possono essere meno di 3 né più di 6).
Impugnazione del licenziamento illegittimo
Se ritenuto illegittimo, il licenziamento disciplinare deve essere impugnato entro 60 giorni dal ricevimento della lettera. Il lavoratore, o il suo legale, contesterà a mezzo scritto il licenziamento.
Dal giorno dell’invio della lettera, scatta un ulteriore termine di 180 giorni entro il quale il lavoratore deve presentare ricorso formale davanti al giudice del lavoro.
Avvocato del lavoro Sergio Palombarini, legale per aziende, lavoratori e lavoratrici
L’avvocato del lavoro Sergio Palombarini è un appassionato della materia da molti anni e insieme ai professionisti del suo Studio affianca aziende, cooperative, lavoratori e lavoratrici nelle controversie legate al diritto del lavoro: dimissioni, licenziamenti, sanzioni disciplinari, assunzioni, infortuni, malattia, permessi, trattamento di disoccupazione, insinuazione di crediti in procedure fallimentari, redazione dei contratti e tutte le questioni giuslavoristiche e di diritto sindacale che toccano organizzazioni e personale subordinato. Le sedi dello Studio sono a Bologna in Via Bovi Campeggi 4 e Padova in Via S. Camillo De Lellis 37.