Trasferimento della sede lavorativa: è possibile opporsi?

Il luogo di lavoro non è solo lo spazio dove svolgiamo le nostre attività professionali, ma anche quello in cui trascorriamo gran parte delle nostre giornate, costruendo una routine che incide sul nostro equilibrio personale e familiare. Ecco perché cambiare la propria sede lavorativa è un tema che spesso solleva dubbi e preoccupazioni nei lavoratori, soprattutto quando avviene in seguito a un distacco o a un trasferimento imposto dalla propria azienda. In un nostro precedente articolo abbiamo già approfondito quali sono le differenze tra distacco, trasferimento e trasferta.

In questa sede esploreremo invece come funziona il trasferimento della sede lavorativa, se è possibile opporsi e quali sono i passi da intraprendere in tali situazioni.

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Cambiare sede lavorativa: distacco e trasferimento

Il distacco è un istituto giuridico previsto dall’articolo 30 del Decreto Legislativo 276/2003, che consente a un datore di lavoro (distaccante) di inviare un proprio dipendente presso un altro soggetto (distaccatario) per l’esecuzione di una specifica attività lavorativa. In questo contesto può verificarsi la necessità di un cambio di sede lavorativa, ma è bene ricordare che si tratta di una misura temporanea e che deve essere giustificata da un interesse aziendale concreto. Inoltre, non può comportare modifiche sostanziali alle condizioni contrattuali del lavoratore, salvo per quanto riguarda il luogo di lavoro.

Ben diverso è cambiare sede lavorativa a causa di un trasferimento, che comporta lo spostamento, definitivo e senza limiti di durata, del luogo di lavoro del dipendente rispetto a quello concordato al momento della firma del contratto. In alcuni casi, il trasferimento viene annunciato senza preavviso, mettendo il lavoratore in una posizione difficile: accettare una nuova sede meno favorevole o rischiare di perdere il proprio impiego?

Distacco: quando è illegittimo?

Se pensiamo al distacco, dobbiamo ricordare che si tratta di un modo che un datore di lavoro ha per spostare dipendenti presso un’altra sede o filiale dell’azienda per diverse ragioni e per un determinato periodo di tempo. Esistono dei criteri di legittimità affinché questa decisione sia legalmente valida. Per esempio, risulta illegittimo il distacco che comporta un mutamento delle mansioni senza il consenso del lavoratore interessato: il consenso del lavoratore interessato è obbligatorio, perché garantisce il rispetto delle sue competenze e professionalità. Inoltre, se il distacco implica un trasferimento a un’unità produttiva situata a oltre 50 km dalla sede di provenienza, è obbligatorio che sia motivato da comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

In generale, il distacco deve essere sempre giustificato da un reale interesse produttivo, organizzativo o di ricerca, senza arrecare alcun pregiudizio al lavoratore, né in termini economici né in termini di condizioni lavorative. Infine, come abbiamo visto, il distacco non può costituire una soluzione definitiva per sopperire a esigenze aziendali strutturali. Se queste condizioni non sono rispettate, il lavoratore può contestare la legittimità del provvedimento richiedendo il suo annullamento, per esempio attraverso l’assistenza legale di un avvocato esperto di diritto del lavoro.

Infografica: sulla sinistra illustrazione blu che rappresenta un edificio (il distaccante), sulla destra un altro edificio identico ma verde che rappresenta il distaccatario. Vicino a questo secondo edificio c'è il lavoratore distaccato: è l'illustrazione di un uomo colorato di blu.

Il trasferimento della sede lavorativa: cosa dice la legge

La normativa italiana stabilisce che il trasferimento della sede lavorativa è consentito solo in presenza di “comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive”. Questo principio, disciplinato dall’articolo 2103 del Codice Civile si applica sia nei casi di distacco sia nei trasferimenti tradizionali. Pertanto, il datore di lavoro deve essere in grado di dimostrare che il cambio di sede è motivato da esigenze aziendali concrete e non essere dettato da ragioni arbitrarie o discriminatorie, altrimenti costituirà un abuso e una violazione dei diritti del lavoratore. La comunicazione del trasferimento deve essere fornita al dipendente in modo chiaro e con un preavviso adeguato, generalmente indicato nei contratti collettivi di lavoro.

Trasferimento illegittimo: quando è possibile opporsi?

Se il trasferimento risulta legittimo, il lavoratore non ha facoltà di rifiutarlo: un eventuale rifiuto privo di motivazioni valide potrebbe comportare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo da parte del datore di lavoro. Tuttavia, può essere considerato illegittimo in diverse circostanze e in questi casi il lavoratore ha la possibilità di opporsi.

Innanzitutto, il trasferimento è illegittimo se motivato da discriminazioni legate all’etnia, al sesso, all’età o all’orientamento sessuale del dipendente. Un altro caso di illegittimità si verifica quando il trasferimento viene utilizzato come forma di “punizione” per un comportamento del dipendente. In questo caso si dice che il trasferimento è ritorsivo.

Allo stesso modo, è proibito destinare il lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte, in quanto il demansionamento lede la dignità personale e viola le norme che tutelano le condizioni lavorative.

Il trasferimento può essere ritenuto nullo anche se il datore di lavoro non è in grado di fornire motivazioni adeguate in risposta a una richiesta esplicita del dipendente o se viola il principio di correttezza e buona fede.

Questo principio è disatteso quando le esigenze organizzative potrebbero essere soddisfatte con soluzioni meno impattanti per il lavoratore.

Infine, alcune categorie di lavoratori godono di una tutela particolare: le madri lavoratrici, ad esempio, possono opporsi a un trasferimento disposto entro il primo anno di vita del bambino, specialmente se comporta il cambio di Comune rispetto alla sede precedente al congedo obbligatorio di maternità. Anche i lavoratori che assistono familiari con disabilità hanno il diritto di opporsi al trasferimento per preservare il proprio equilibrio personale e familiare.

Come impugnare un provvedimento di trasferimento o distacco illegittimo

Se un lavoratore o una lavoratrice ritiene che un provvedimento di trasferimento o distacco sia illegittimo, è fondamentale agire tempestivamente per tutelare i propri diritti. La prima cosa da fare è richiedere le motivazioni precise del trasferimento: il datore di lavoro non ha l’obbligo di comunicare spontaneamente le comprovate ragioni tecniche o produttive alla base della scelta, ma è tenuto a fornirle qualora il lavoratore ne faccia esplicita richiesta.

Una volta verificati il contratto di lavoro, il contratto collettivo e le relative clausole, bisogna procedere impugnando il provvedimento: il lavoratore deve contestare formalmente il trasferimento o il distacco entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione. Questa impugnazione deve essere effettuata per iscritto, tramite lettera raccomandata con ricevuta di ritorno o PEC, per avere una prova documentale della contestazione.

Dopo l’impugnazione, il lavoratore ha 180 giorni per intraprendere ulteriori azioni, come depositare un ricorso presso il Tribunale del Lavoro competente, oppure inviare al datore di lavoro una richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Se entro questo termine non viene intrapresa alcuna di queste azioni, l’impugnazione iniziale perde efficacia.

Il consiglio è di rivolgersi a un avvocato del lavoro fin dalle prime fasi, perché un avvocato esperto può valutare la legittimità del provvedimento, assistere nella redazione dell’impugnazione e rappresentare il lavoratore nelle eventuali fasi successive, sia in sede stragiudiziale che giudiziale, cioè in tribunale; a maggior ragione, se si considera che il licenziamento è considerato legittimo anche quando il lavoratore rifiuta di adeguarsi a un provvedimento di trasferimento o distacco.

Soluzione che, in casi specifici, può rappresentare l’unica proposta dal datore di lavoro per mantenere i livelli occupazionali assicurati fino a quel momento e applicabile a tutto il personale aziendale, indipendentemente dalla qualifica. Pertanto, prima di intraprendere qualsiasi azione individuale, è sempre bene consultare un avvocato.

Avvocato del lavoro Sergio Palombarini, legale per aziende, lavoratori e lavoratrici

L’avvocato del lavoro Sergio Palombarini è un appassionato della materia da molti anni e insieme ai professionisti del suo Studio affianca aziende, cooperative, lavoratori e lavoratrici nelle controversie legate al diritto del lavoro: dimissioni, licenziamenti, sanzioni disciplinari, assunzioni, infortuni, malattia, permessi, trattamento di disoccupazione, distacchi, trasferimenti, insinuazione di crediti in procedure fallimentari, nella redazione dei contratti e in tutte le questioni giuslavoristiche e di diritto sindacale che toccano organizzazioni e personale subordinato. Le sedi dello Studio sono a Bologna in Via Bovi Campeggi 4 e Padova in Via S. Camillo De Lellis 37.

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