Vaccinazione Sars-Cov 2, obblighi e ipotesi di licenziamento
- 6 Marzo 2021
- Posted by: Sergio Palombarini
- Categoria: Approfondimenti

Da poche settimane sono iniziate le vaccinazioni contro il virus Sars-Cov 2 per contrastare l’ulteriore diffusione dell’epidemia che ha caratterizzato l’ultimo anno e già dai primi momenti è nato un dibattito sull’obbligatorietà o meno della vaccinazione per i lavoratori. Uno dei nodi più critici: l’obbligo vaccinale dei dipendenti e la possibilità per i datori di lavoro di licenziare chi decidesse di sottrarsi alla vaccinazione.
Il dibattito si concentra su alcune questioni importanti:
- Servono norme che obblighino i lavoratori a vaccinarsi?
- Come dovrebbe comportarsi il datore di lavoro con coloro che non si vaccinano?
- Secondo l’attuale normativa sono licenziabili?
Sulla base di questi quesiti, si rilevano già alcune prese di posizione autorevoli al riguardo.
Obbligo di vaccinazione per i dipendenti: i punti di vista più importanti
Il dipendente che si oppone alla vaccinazione può essere licenziato e il datore di lavoro dovrebbe imporre la vaccinazione a tutti? In un mio recente articolo per il Manifesto in Rete ho cercato di riportare le opinioni – di chi, come Pietro Ichino –ex parlamentare e professore di diritto del lavoro – sostiene che quella del licenziamento sia una possibilità concreta, e l’opinione di chi, come Franco Scarpelli – avvocato e professore di diritto del lavoro all’Università Milano Bicocca – sostiene invece che l’obbligo non sussista, né per il lavoratore, né per il datore di lavoro.
Secondo Ichino, la vaccinazione è un obbligo da rispettare, pena il licenziamento. L’obbligo, infatti, si trova indirettamente nell’art. 2087 del Codice Civile: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità’ del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.” Su questa base, per poter tutelare i propri dipendenti, il datore di lavoro dovrebbe imporre il vaccino a tutti. Di conseguenza, chi si dovesse opporre alla vaccinazione, dovrebbe essere licenziato.
Scarpelli, invece, sostiene la tesi opposta: da un lato esiste la possibilità che alcuni lavoratori non possano sottoporsi al vaccino per ragioni mediche (ad esempio se allergici) e, dall’altro, non è detto che tutte le mansioni svolte in azienda possano esporre il lavoratore a contatti potenzialmente pericolosi. Dunque, in questi casi, la vaccinazione potrebbe essere superflua e non obbligatoria.
Inoltre, al di là di queste premesse, Scarpelli ricorda che da oltre 10 mesi sono obbligatori dei protocolli di sicurezza contro la diffusione del virus, da cui si deduce che il luogo di lavoro dovrebbe in questo momento già essere sicuro, a prescindere dalla vaccinazione dei dipendenti.
Scarpelli, facendo riferimento all’art. 20 del TU Sicurezza, in un recente intervento su LinkedIn, sostiene che il vaccino non è l’unica misura consigliata per ridurre il rischio di contagi nel luogo di lavoro. L’art. 20 del TU Sicurezza, infatti, responsabilizza anche il lavoratore, perché impone un obbligo di cooperazione all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Nonostante questo, continua Scarpelli, la norma non può trasformare una possibilità in un obbligo.
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Di conseguenza si tratta di capire se il vaccino, pur non essendo obbligatorio, debba essere considerato una misura di sicurezza indispensabile, tale per cui, se il lavoratore si oppone alla vaccinazione, debba essere considerato inidoneo all’ambiente di lavoro e quindi licenziabile.
Una tesi che, però, non convince Scarpelli. Secondo il professore, è opportuno ragionare su una campagna che “sostenga l’adesione convinta dei lavoratori che per primi sono interessati alla salute propria e dei colleghi. Ove il singolo non accetti il vaccino, a maggior ragione se adduca motivazioni relative alla propria salute, il datore di lavoro dovrebbe dimostrare che, in quella determinata situazione e per quelle determinate mansioni, il vaccino di ogni dipendente configura una misura indispensabile per la tutela della salute sua, dei colleghi ed eventualmente del pubblico e degli utenti, e che non vi sono misure alternative adeguate e ragionevolmente sufficienti, come quelle fino ad oggi adottate ed altre progressivamente attuabili (dispositivi di sicurezza, metodi di disinfezione, smart-working, ecc.), le quali consentano di mantenere il dipendente su quelle mansioni.”
Pareri e opinioni contrastanti riuniti da PuntoSicuro
Alla luce delle varie argomentazioni, riflessioni e confronti tra posizioni diverse, PuntoSicuro – quotidiano sulla sicurezza su lavoro, ambiente – ha raccolto diversi pareri e opinioni per delineare un quadro della questione.
Tra le fonti citate, c’è quella del Consiglio Nazionale Consulenti del Lavoro pubblicato sugli “Approfondimenti della Fondazione Studi Consulenti del lavoro“, dal titolo “Solo il vaccino obbligatorio impedirà il contagio in azienda” dove si constata che il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro, non sembrerebbe approfondire la tematica delle vaccinazioni, ma si limita a prescrivere al medico competente di fornire “adeguata informazione […] sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione” (art.279, comma 5).
L’articolo 286 sexies del Testo Unico, invece, sembra indicare l’obbligo di vaccinazione a carico del datore di lavoro, quantomeno nel settore dell’assistenza sanitaria, soltanto con riferimento all’esposizione ad agenti biologici “importanza dell’immunizzazione, vantaggi e inconvenienti della vaccinazione o della mancata vaccinazione, sia essa preventiva o in caso di esposizione ad agenti biologici per i quali esistono vaccini efficaci“.
Non sono stati rinvenuti precetti normativi che diano in maniera immediata la possibilità al datore di lavoro di richiedere ai propri dipendenti la vaccinazione come misura obbligatoria di prevenzione. Tuttavia, considerate le esigenze di sicurezza e l’intenzione da parte del Governo di prevedere, a determinate condizioni, l’obbligatorietà della vaccinazione, questa potrebbe essere oggetto di una specifica previsione per i luoghi di lavoro a seconda del tipo di lavorazione e/o organizzazione o in base ai locali dove altrimenti sarebbe più difficoltoso il rispetto delle altre misure anti-contagio.
Rischi, vaccinazioni e gli obblighi del datore di lavoro
Un altro nodo del dibattito si concentra, invece, sul ruolo del datore di lavoro: è obbligato ad aggiornare il Documento di valutazione dei rischi? Se sì, l’aggiornamento vale per ogni situazione o soltanto in presenza di rischio specifico (ad es. per le attività sanitarie o i laboratori, o in caso di continuo contatto col pubblico)?
Nel suo articolo per Questione Giustizia, il Giudice Roberto Riverso, consigliere della Corte di Cassazione, ritiene che la questione debba risolversi con esito positivo, perché, come riconosciuto anche dall’INAIL (Documento in materia dell’aprile 2020) difficilmente si riuscirà ad appurare il livello di rischio Covid all’interno dei singoli specifici luoghi di lavoro. Dovrebbe quindi esserci l’obbligo di vaccinazione, perché non si può sapere con sicurezza “se un determinato contesto lavorativo possa comportare una moltiplicazione o un innalzamento del livello di esposizione rispetto al contagio di tipo sociale”.
Sono gli artt. 28 e 29 del TU n. 81/2008 che:
- pongono l’obbligo di individuare e aggiornare periodicamente tutti i rischi ricollegabili, direttamente o indirettamente, all’attività lavorativa o all’ambiente di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione;
- impongono di redigere il documento di valutazione dei rischi (DVR), prevedendo una prospettiva di neutralizzazione del pericolo, eliminando i rischi eliminabili e riducendo quelli ineliminabili.
Da tenere in conto anche i D.P.C.M. del 10 e 26 aprile 2020 che hanno reso obbligatori i protocolli di sicurezza, mentre l’art. 42, co. 2, del d.l. n. 18/2020 Cura Italia (conv. dalla l. n. 27/2020), ha riconosciuto che l’infezione da coronavirus avvenuta in «occasione di lavoro», costituisce un infortunio sul lavoro protetto dall’INAIL.
Alla luce di tutto ciò, sembrerebbe che il virus costituisca un fattore di rischio professionale e il datore di lavoro non può disinteressarsi e deve prescrivere, per tempo, l’assunzione del vaccino come misura di prevenzione e protezione necessaria per la tutela della salute e per l’accesso nei luoghi di lavoro.
Vaccinazioni e obblighi del lavoratore
Dunque, se il datore è obbligato ad adottare la vaccinazione come misura di sicurezza, anche il lavoratore dovrebbe essere obbligato a prestare la propria collaborazione vaccinandosi. Non è possibile quindi una disparità di obblighi del datore, dagli obblighi del lavoratore senza mettere in crisi il sistema di sicurezza.
La regolamentazione secondo cui agli obblighi del datore corrispondono quelli del lavoratore si ritrova nell’art. 20 del TU 81/2008, in base al quale il lavoratore è obbligato a prendersi cura della propria salute e sicurezza, ma anche di quella di altri su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, ossia di tutti gli altri soggetti presenti sul luogo di lavoro. Anche la tematica del vaccino anti Covid dovrebbe rientrare quindi nell’art. 20.
Tuttavia sono interessati nella problematica delle vaccinazioni diversi valori costituzionali, che implicano, oltre alla libertà di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti le cure sanitarie, anche la tutela della salute individuale e collettiva – sotto la tutela dell’art. 32 Cost.-, tra cui è compreso anche il diritto di chi non può essere vaccinato o non ha avuto ancora accesso al vaccino.
Tuttavia, guardando all’articolo 42 del TU, questo stabilisce che “il datore di lavoro anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”, dove quindi, il lavoratore potenzialmente infetto sarebbe inidoneo a svolgere l’attività lavorativa con conseguente applicazione del disposto dell’art. 42 T.U. In questo caso il licenziamento sarebbe legittimo solo in casi limitati, ovvero quando non ci sono misure alternative adeguate e sufficienti a tutelare la salute (es. smart-working).
Conclusioni
La questione è complessa e senza una norma che renda obbligatorio il vaccino per tutti i lavoratori, in qualità di misura preventiva del contagio negli ambienti lavorativi, difficilmente sarà possibile trovare una soluzione unica per tutelare la salubrità dei luoghi di lavoro ed evitare la conseguente responsabilità penale del datore di lavoro.
Anche alla luce del fatto che l’art. 32 della Cost. dispone che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Il rifiuto di un lavoratore di sottoporsi a vaccino sarebbe legittimo, non esistendo in Italia, attualmente, una legge che obblighi nessuna categoria di persone a vaccinarsi, e, pertanto, il licenziamento in virtù di tale presa di posizione sarebbe verosimilmente illegittimo.
Avvocato del lavoro Sergio Palombarini, legale per aziende, lavoratori e lavoratrici
L’avvocato del lavoro Sergio Palombarini è un appassionato della materia da molti anni e insieme ai professionisti del suo Studio affianca aziende, cooperative, lavoratori e lavoratrici nelle controversie legate al diritto del lavoro: dimissioni, licenziamenti, sanzioni disciplinari, assunzioni, infortuni, malattia, permessi, trattamento di disoccupazione, insinuazione di crediti in procedure fallimentari, redazione dei contratti e tutte le questioni giuslavoristiche e di diritto sindacale che toccano organizzazioni e personale subordinato. Le sedi dello Studio sono a Bologna in Via Bovi Campeggi 4 e Padova in Via S. Camillo De Lellis 37.